Rubrica di aggiornamento giurisprudenziale n. 12/2020
TAR Veneto, sez. I, sent. n. 1195/2020: il mancato pagamento delle imposte impone al RUP di attivare il contraddittorio con l'appaltatore.
Secondo la sentenza in commento, in presenza di gravi violazioni per omesso pagamento delle imposte/tasse è bene che il RUP attivi il contraddittorio con l'appaltatore, valorizzando la dichiarazione (art. 80 del Codice) dell'assenza di motivi di esclusione.
Nel caso di specie, il ricorrente ha censurato la propria esclusione avvenuta per omesso pagamento di imposte/tasse secondo il co. 4 dell'art. 80 del Codice. Come si evince dalla sentenza, in fase di verifica dei requisiti – analisi propedeutica per giungere all'aggiudicazione - l'Agenzia delle Entrate comunicava che a carico della ricorrente sussistevano una serie di “violazioni definitivamente accertate” relative a cartelle di pagamento notificate e non pagate “per un debito di euro 67.617,01”. In realtà, la ricorrente ha rimarcato di avere presentato propria istanza di rateizzazione, accolta dall'Agenzia delle Entrate “anteriormente alla data di indizione della procedura e al termine di presentazione delle offerte”. Da ciò, infine, residuava un unico debito di 64,92 euro (rispetto alla contestazione che ha fondato il provvedimento di esclusione) relativo ai “soli interessi di mora, correlati ad un debito già corrisposto, e comunque di importo inferiore alla soglia di Euro 5.000,00 prevista dall'art. 80, comma 4, del d.lgs. n. 50 del 2016 per integrare una grave violazione”.
Pertanto, il provvedimento di esclusione, secondo il ricorrente, non avrebbe potuto essere adottato senza il rispetto del principio del previo contraddittorio (art. 83 del Codice), momento istruttorio interlocutorio che avrebbe consentito di acclarare la reale situazione e impedire l'esclusione (con conseguente aggiudicazione, tra l'altro, dell'appalto).
Il giudice viene persuaso dalla tesi demolitoria del provvedimento di esclusione rammentando che, dalla lettura corretta del co. 4 dell'art. 80 (anche nella nuova versione dovuta alla legge 120/2020, in ogni caso non rilevante nel caso di specie), si evince il chiaro ambito applicativo. In primo luogo, la norma tratta “di violazioni gravi, ossia di debiti nei confronti del Fisco di importo superiore ad Euro 5.000,00” e, pertanto, di debiti per imposte e tasse certi, scaduti ed esigibili. Ma più nel dettaglio, con la norma devono venire in considerazione le “violazioni fiscali accertate in modo definitivo e quindi o con pronuncia giurisdizionale passata in giudicato o mediante provvedimenti amministrativi ormai definitivi per decorso del termine di impugnazione (Cons. Stato, Sez. V, 3 aprile 2018, n. 2049)”.
L'aspetto, nel caso di specie, non oggetto di attenta considerazione è che il legislatore ha puntualizzato che le cause di esclusione non operano/non si applicano “quando l'operatore economico ha ottemperato ai suoi obblighi pagando o impegnandosi in modo vincolante a pagare le imposte o i contributi previdenziali dovuti, compresi eventuali interessi o multe, purché il pagamento o l'impegno siano stati formalizzati prima della scadenza del termine per la presentazione delle domande”.
L'Adunanza Plenaria, e ciò non può sfuggire al RUP - in merito a tali precisazioni ha chiarito che ai fini della corretta partecipazione alla gara, “entro la scadenza del termine di presentazione della domanda di partecipazione, il concorrente deve avere conseguito il provvedimento di accoglimento dell'istanza di rateizzazione o dilazione del debito tributario, non essendo invece sufficiente la sola presentazione dell'istanza (Cons. Stato, Ad. Plen., 5 giugno 2013 n. 15)”. Tale posizione debitoria, come nel caso trattato, alla luce del comportamento dell'appaltatore e dell'istanza di rateizzazione regolarmente ottenuta, non integra il precetto legislativo, ovvero non integra “una violazione grave, definitivamente accertata, degli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse”, e l'appaltatore non può essere escluso.
Il provvedimento dell'Agenzia delle Entrate deve essere oggetto anche di attenta considerazione, imponendo al RUP l'attivazione di un minimo di contraddittorio. Il contraddittorio, difatti, prosegue ancora il giudice, risponde perfettamente ai “generali principi di correttezza e buona fede, applicabili anche ai rapporti di diritto pubblico, nonché in ragione dell'istituto del soccorso istruttorio di cui all'art. 83, comma 9, del d.lgs. n. 50 del 2016”. Deve essere in ogni caso valorizzata, senza posizioni preconcette, la dichiarazione dell'appaltatore “circa l'assenza di cause di esclusione ai sensi” dell' art. 80. Circostanza, questa, che avrebbe indotto il RUP, prima di procedere con l'esclusione dalla procedura, a “richiedere all'aggiudicataria provvisoria i necessari chiarimenti”.
Da notare, infine, che il giudice rimette alla stazione appaltante la decisione da adottare “alla luce delle ragioni che hanno determinato l'annullamento dell'aggiudicazione” , ovvero se continuare il rapporto contrattuale in essere con “l'operatore economico (illegittimo) aggiudicatario”, tenendo conto “dell'eventuale proposizione dell'azione risarcitoria da parte della ricorrente ai sensi degli artt. 30 e 124 cod. proc. amm., ovvero se non risponda maggiormente all'interesse pubblico, risolvere il contratto, aggiudicando l'appalto alla medesima ricorrente (Cons. Stato, Sez. V, 22 novembre 2019, n. 7976)”.
Cons. Stat., sez. V, sent. n. 7257/2020: divieto assoluto di disapplicare le regole di gara da parte della PA.
Le clausole del bando di gara non possono essere disapplicate dall'amministrazione neanche nel caso in cui risultino inopportune o incongrue. Lo impone l'art. 83, co. 8, del Codice. I “bandi e le lettere di invito - recita la norma - non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione rispetto a quelle previste dal presente codice e da altre disposizioni di legge vigenti. Dette prescrizioni sono comunque nulle”. In altri termini, fatto salvo l'annullamento d'ufficio, “la sola eventualità che può consentire all'amministrazione di disapplicare il bando si ricollega all'ipotesi di clausole nulle, inidonee a produrre effetti giuridici, come nel caso della disposizione del bando che introduca una causa di esclusione dalla procedura non prevista dalla legge”.
Con questa motivazione il Consiglio di Stato ha annullato la sentenza del TAR Campania - Salerno n. 93/2020, che aveva respinto il ricorso proposto contro il provvedimento con cui un Comune aveva aggiudicato la fornitura di “energia elettrica, progettazione definitiva ed esecutiva e attività connesse alla riqualificazione, messa a norma, risparmio energetico, contenimento dell'inquinamento luminoso, ammodernamento tecnologico e funzionale degli impianti di pubblica illuminazione” ad un'impresa non iscritta al Registro Titoli di Efficienza Energetica - registro TEE, sebbene tale iscrizione fosse espressamente prevista da una clausola del bando di gara quale requisito di idoneità professionale. Clausola che il TAR aveva ritenuto sovrabbondante rispetto alle prestazioni richieste e, quindi, in contrasto con l'art. 83, co. 2, del d.lgs. n. 50/2016, con la conseguenza che l'amministrazione comunale avrebbe agito in modo pienamente conforme a detta previsione.
Tesi che il Consiglio di Stato ha respinto in continuità con il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui il bando di gara costituisce un vincolo al quale la stazione appaltante non si può sottrarre, essendo inderogabilmente tenuta ad applicare le disposizioni che essa stessa si è data per la procedura di affidamento (cfr. Cons. Stato, Sez. V, sentenza 13 settembre 2016, n. 3859 e Cons. Stato, Adunanza Plenaria, 25 aprile 2014, n.9). Sicché, la stazione appaltante non ha alcun margine di discrezionalità nell'attuazione delle prescrizioni di gara, né può disapplicarle perché violerebbe il rigoroso principio formale della lex specialis, posto a garanzia dei principi di cui all'art. 97 della Costituzione (ex multis Cons. Stato, Sez. III, 20 aprile 2015, n. 1993; V, 29 settembre 2015, n. 4441; VI, 15 dicembre 2014, n. 6154), fermo restando che può dichiararle nulle qualora impongano ai concorrenti adempimenti o prescrizioni che non trovano alcuna base giuridica nel codice dei contratti pubblici (o in altre disposizioni di legge) che prevedano cause di esclusione, comprese quelle che, pur non prevedendo espressamente l'esclusione dalla gara, impongano adempimenti doverosi o introducano, comunque, norme di divieto (cfr. Cons. Stato, Adunanza Plenaria 7 giugno 2012, n. 21; 16 ottobre 2013, n. 23; 25 febbraio 2014, n. 9).
Ipotesi che, nel caso di specie, il Consiglio di Stato ha ritenuto insussistente (“il contenuto della clausola in questione non integra il presupposto del contrasto col principio di tassatività delle cause di esclusione e della conseguente nullità ai sensi dell'art. 83, comma 8, del codice dei contratti pubblici”). Da qui “l'ingiustizia delle statuizioni del primo giudice”, a cui il Collegio di Palazzo Spada ha anche contestato di: 1) aver ignorato il giudizio “non corrispondente al vero” espresso dalla commissione aggiudicatrice in ordine alle dichiarazioni rese dall' aggiudicataria in sede di gara e nel Documento di gara unico europeo - DGUE, con riferimento al possesso del requisito dell'iscrizione nel registro TEE; 2) “aver escluso l'illegittimità della decisione della stazione appaltante senza il previo accertamento della nullità della clausola sotto il profilo del contrasto con il principio di tassatività delle cause di esclusione”; 3) essersi pronunciato sulla legittimità della clausola dal momento che quest'ultima non era stata impugnata dall'aggiudicataria “con uno specifico ricorso per farne accertare l' effettiva illegittimità della sproporzione o non attinenza all'oggetto dell'appalto”, fermo restando che l'aggiudicataria, in assenza di tale impugnativa, aveva l'obbligo di dichiarare il proprio difetto di iscrizione nel registro TEE.