RUBRICA AGGIORNAMENTO GIURISPRUDENZIALE n. 4/2022
Cons. Stat., sez. V, sent. n. 590/2022: se mancano i requisiti la PA può annullare l'aggiudicazione anche dopo la firma del contratto.
La stazione appaltante ha il potere di agire in autotutela qualora, dopo la stipula del contratto di appalto, l'aggiudicatario risulti privo dei necessari requisiti di qualificazione. L'esercizio dei poteri di autotutela comporta l'annullamento dell'aggiudicazione e la conseguente perdita di efficacia del contratto nel frattempo stipulato. Le eventuali controversie relative al corretto esercizio del potere di autotutela appartengono alla giurisdizione del giudice amministrativo.
Un ente locale aveva indetto una gara per l'affidamento dei lavori di restauro di un palazzo. Disposta l'aggiudicazione, lo stesso ente aveva proceduto alla stipula del relativo contratto di appalto con l'impresa aggiudicataria. Successivamente, l'ente appaltante emanava un provvedimento di risoluzione del contratto in relazione alla mancata produzione da parte dell'impresa aggiudicataria della SOA aggiornata idonea a comprovare il perdurante possesso dei requisiti di qualificazione richiesti in sede di gara. Contro questo provvedimento l'impresa aggiudicataria e titolare del contratto di appalto proponeva ricorso davanti al giudice amministrativo.
Il TAR Toscana ha ritenuto non sussistesse nel caso di specie la giurisdizione del giudice amministrativo, dichiarando di conseguenza il ricorso inammissibile. Ciò, sulla base della considerazione che il provvedimento di risoluzione del contratto di appalto attiene alla fase esecutiva dell'appalto, caratterizzata dalla sussistenza in capo all'appaltatore di diritti soggettivi, come tali tutelabili davanti al giudice ordinario. Inoltre, tale provvedimento era stato emanato in relazione alla violazione da parte dell'appaltatore di uno specifico onere su di esso incombente, consistente nella mancata presentazione dell'attestazione SOA aggiornata.
A sostegno di questa posizione il TAR Toscana ha richiamato alcuni principi affermati dalla giurisprudenza ammnistrativa e della Cassazione. Sotto il primo profilo, ricorda che il Consiglio di Stato ha ripetutamente affermato che non rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo la cognizione sugli atti assunti dalla stazione appaltante nella fase di esecuzione del contratto, in quanto non espressione di poteri autoritativi ma emanati dall'ente appaltante nella sua veste di contraente che agisce con gli strumenti del diritto privato. A sua volta, la Cassazione ha ritenuto rientrare nella giurisdizione del giudice ordinario le controversie relative alla intervenuta risoluzione anticipata del contratto di appalto disposta dall'ente appaltante in relazione a inadempimenti dell'appaltatore. Ciò, in quanto la risoluzione attiene alla fase esecutiva dell'appalto, e, come tale, incide sul diritto soggettivo dell'appaltatore alla prosecuzione del rapporto contrattuale. E ciò indipendentemente dal fatto che sotto il profilo formale la risoluzione sia disposta nella veste di provvedimento amministrativo, poiché nella sostanza non ha valenza autoritativa, ma si colloca nell'ambito del rapporto paritetico tra stazione appaltante e appaltatore.
La sentenza di primo grado è stata impugnata dall'originario ricorrente davanti al Consiglio di Stato. L'unico motivo di ricorso si è incentrato sul ritenuto errore del giudice di primo grado nel mancato riconoscimento della giurisdizione del giudice amministrativo nel caso di specie. A sostegno di tale motivo il ricorrente ha sviluppato una serie di argomenti.
In primo luogo, il contratto era stato sottoscritto ma non vi era stata data ancora esecuzione, cosicché non è corretto sostenere che la controversia riguardasse tipicamente la fase esecutiva. In secondo luogo, il c.d. provvedimento di risoluzione non può essere considerato espressione dell'autonomia negoziale, essendo, piuttosto, esercizio del potere pubblicistico che spetta all'ente appaltante ai fini della verifica della sussistenza continuativa dei requisiti di qualificazione. Come conseguenza di queste assunzioni, il provvedimento in esame, in quanto di natura autoritativa e non negoziale, viene a incidere su posizioni di interesse legittimo dell'appaltatore, la cui eventuale lesione deve essere valutata dal giudice amministrativo.
Inoltre, a rafforzamento della propria tesi, l'appellante ha sottolineato come la risoluzione contrattuale non è stata disposta a causa di ritenute inadempienze alle obbligazioni contrattuali, cioè atti o comportamenti tipici della fase di esecuzione del contratto. Al contrario, la risoluzione è conseguita alla mancata dimostrazione del perdurante possesso dei requisiti di qualificazione da parte dell'aggiudicatario, e rientra, quindi, nei casi previsti dall'art. 108 del d.lgs. n. 50/16. Nonostante tale norma parli genericamente per tutte le ipotesi dalla stessa disciplinate di risoluzione del contratto, nei casi come quello in considerazione si tratterebbe, in realtà, non di un negozio risolutivo di natura privatistica, quanto, piuttosto, di un provvedimento assunto dall'ente appaltante nell'esecuzione dei propri poteri autoritativi di autotutela, incidendo in primis sull'aggiudicazione e solo in via derivata sul contratto nel frattempo stipulato.
Il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso riformando la sentenza di primo grado. In via preliminare, il Consiglio di Stato ha evidenziato che non può essere presa in considerazione ai fini della soluzione del caso di specie la giurisprudenza - richiamata dal giudice di primo grado - che rimette al giudice ordinario la competenza a decidere sulle controversie relative alla risoluzione anticipata del contratto disposta dall'ente appaltante a fronte dell'inadempimento di obbligazioni proprie dell'appaltatore.
Tali controversie, infatti, attengono all'esecuzione del contratto in senso proprio, riguardando cioè tipiche obbligazioni contrattuali rispetto alle quali le parti – ente appaltante e appaltatore – si trovano in una posizione paritaria. L'atto di risoluzione adottato dall'ente appaltante in questo ambito non è espressione di poteri autoritativi, bensì costituisce uno dei rimedi contrattuali cui l'ente appaltante può ricorrere a fronte dell'inadempimento dell'appaltatore a proprie obbligazioni, venendo quindi a incidere sui diritti soggettivi di quest'ultimo. La fattispecie in esame è del tutto diversa. In questo caso, l'ente appaltante ha riscontrato, nell'esercizio dei poteri di autotutela ad esso riconosciuti, una causa di illegittimità dell'aggiudicazione in relazione alla carenza della continuità dei requisiti di qualificazione in capo all'aggiudicatario. Di conseguenza l'ente appaltante – al di là della terminologia utilizzata – ha in realtà adottato un provvedimento di annullamento d'ufficio dell'aggiudicazione cui è conseguito, come effetto ineludibile, lo scioglimento del vincolo contrattuale.
In questi termini, si tratta di un provvedimento di natura autoritativa cui corrisponde una posizione di interesse legittimo dell'appaltatore. Non rileva in senso contrario l'intervenuta stipula del contratto, che non modifica la natura del potere esercitato, la cui finalità è quella di matrice pubblicistica diretta ad assicurare che l'esecutore delle prestazioni sia in possesso dei prescritti requisiti di qualificazione. Detto altrimenti, la risoluzione del contratto non è conseguenza di vizi propri dello stesso né tanto meno dell'inadempimento di obbligazioni da parte dell'appaltatore, bensì dell'effetto indotto della sopravvenuta illegittimità dell'aggiudicazione per la mancata sussistenza continuativa dei requisiti di qualificazione.
La conseguenza ultima ai fini dell'individuazione del giudice competente a decidere sulle eventuali controversie sull'atto emanato è che, trattandosi, appunto, dell'esercizio di un potere autoritativo che incide sugli interessi legittimi dell'appaltatore, la giurisdizione appartiene al giudice amministrativo.
La pronuncia in commento delinea il confine tra l'azione amministrativa e l'azione privatistica della stazione appaltante privilegiando, in maniera corretta, il dato sostanziale rispetto a quello formale. Ciò che rileva non è il fatto formale che sia già stato stipulato il contratto, ma il fatto sostanziale della finalità cui il potere esercitato intende rispondere. Se il contratto di appalto è stato stipulato ma la stazione appaltante lo risolve non per inadempimenti dell'appaltatore (vizi dell'esecuzione) ma per la mancanza originaria o il venir meno dei requisiti di qualificazione (vizi dell'aggiudicazione), viene in rilievo l'esercizio di poteri pubblicistici e non uno strumento di tutela privatistico. Così come, al contrario, se vi è stata consegna dei lavori in via d'urgenza in attesa del contratto ancora da stipulare, eventuali inadempimenti dell'appaltatore cui consegua un provvedimento di risoluzione contrattuale rientrano nell'ambito dei rapporti paritetici (e dei conseguenti poteri privatistici in capo all'ente appaltante).
Dal punto di vista della ricostruzione giuridica l'indicazione appare corretta. Occorre, tuttavia, considerare gli effetti che la stessa produce ai fini dell'individuazione del giudice competente a conoscere delle relative controversie. Ai fini di definire se la giurisdizione sia del giudice amministrativo o di quello ordinario le parti coinvolte sono, infatti, costrette a operare un'analisi non sempre agevole in merito alla natura sostanziale del potere esercitato dall'ente appaltante. E se lo stesso giudice amministrativo offre interpretazioni non coincidenti – come nel caso di specie in cui il Consiglio di Stato si è espresso in termini opposti rispetto al giudice di primo grado – è intuibile la difficoltà che può avere l'operatore economico o la singola amministrazione.
Cons. Stat., sez. V, sent. n. 489/2022: illeciti professionali, ampio onere procedurale a carico delle stazioni appaltanti per motivare l'esclusione.
In presenza di dichiarati illeciti professionali, la stazione appaltante è tenuta ad approfondire la relazione tra questi e il contratto da aggiudicare e se i primi siano in grado di incrinare l'integrità morale e l'affidabilità professionale dell'appaltatore.
Con la sentenza in commento il Consiglio di Stato chiarisce il perimetro applicativo del co. 5, art. 80, lett. c), del Codice in merito alla gestione procedimentale degli effetti degli illeciti professionali dichiarati dal concorrente.
Il Collegio ribadisce che la dovuta dichiarazione di pregressi illeciti professionali non può determinare un immediato e automatico effetto espulsivo dell'operatore economico obbligando, in realtà, la stazione appaltante e, segnatamente il RUP, ad attivare un sub-procedimento di verifica anche delle misure adottate dall'operatore economico (le misure di self cleaning). In sostanza, la norma impone un doppio onere procedimentale: il primo, di tipo dichiarativo, a carico dell'appaltatore che partecipa alla competizione; il secondo, a carico della stazione appaltante che è tenuta ad avviare un contraddittorio per individuare i mezzi di prova e verificare la congruità delle misure di “affrancamento/prevenzione” adottate. E in questo senso, in sentenza si legge come sia corretta la posizione del ricorrente “secondo cui la scansione procedimentale stabilita dall'art. 80 del Codice di contratti pubblici onera il concorrente soltanto degli obblighi dichiarativi, lasciando alla stazione appaltante l'avvio e la conduzione dell'istruttoria, in particolare sulle vicende professionali rilevanti ai fini del giudizio di affidabilità e di integrità ai sensi dello stesso art. 80, comma 5, lett. c)”.
Pertanto, compete alla stazione appaltante individuare i mezzi adeguati “di prova dell'illecito professionale, acquisiti a seguito di spontanea produzione dell'operatore concorrente o d'ufficio o previa apposita richiesta rivolta all'interessato”. Quest'ultimo, è tenuto ad adottare una serie di misure di self cleaning ovvero “provvedimenti di carattere tecnico, organizzativo e relativi al personale idonei a prevenire ulteriori reati o illeciti” ai sensi del co. 7 della citata disposizione del Codice. Su cui il RUP deve fare le opportune verifiche di congruità/serietà.
Nel caso trattato, alla dichiarazione dell'appaltatore di diversi precedenti di risoluzione contrattuale e penali irrogate, si puntualizzava anche l'adozione di “misure idonee a supportare un giudizio di affidabilità professionale (adozione del modello organizzativo ex d.lgs. n. 231 del 2001, massimo punteggio nel rating di legalità riconosciuto dall'AGCM, iscrizione nella white list, sistemi di qualità e asseverazione del sistema di
sicurezza: cfr. doc. 4)”. L'onere procedimentale cui è tenuto l'appaltatore, quindi, risultava pienamente soddisfatto e a questo doveva seguire l'adempimento dell'onere procedurale che ricade sulla stazione appaltante che avrebbe “dovuto chiedere il riscontro documentale di siffatta dichiarazione e motivare specificamente sull'(eventuale) ritenuta inidoneità delle misure”.
La produzione documentale effettuata dall'appaltatore, prosegue il giudice, “non è utile a colmare una lacuna istruttoria procedimentale imputabile” alla stazione appaltante, “essendone precluso l'apprezzamento da parte del giudice, in mancanza del previo esame dell'amministrazione (arg. ex art. 34, comma 2, Cod. proc. amm.)”.
In pratica, la stazione appaltante avrebbe dovuto invitare l'operatore economico a provare i provvedimenti “e le misure di ravvedimento operoso adottati per porre rimedio all'eventuale motivo di esclusione facoltativa”.
In questo senso le stesse Linee Guida ANAC n. 6, in cui si puntualizza che l'esclusione dell'operatore che dichiara illeciti professionali può essere disposta solamente “all'esito di un procedimento in contradditorio con l'operatore economico interessato”.
La stazione appaltante, pertanto, in ossequio a questo onere procedimentale specifico, è chiamata – con correlata assunzione di responsabilità – “ad esprimersi sui fatti che hanno dato luogo ad una determinata vicenda risolutiva o sanzionatoria contrattuale, previa acquisizione della relativa conoscenza, in contraddittorio con l'interessato”.
Dagli esiti di detta attività istruttoria scaturirà, poi, la relativa motivazione che andrà, se del caso, a sostanziare un eventuale provvedimento di esclusione. Quest'ultimo, infatti, non risulterà adeguatamente motivato in presenza di meri richiami ai fatti dichiarati, ai riferimenti normativi o a semplici sottolineature in relazione al tempo del compimento. Il Codice, e la stessa giurisprudenza, esige, infatti, in presenza di dichiarati pregressi illeciti professionali, una motivazione rafforzata, che chiarisca le ragioni che hanno incrinato quella necessaria affidabilità dell'appaltatore che innerva l'aggiudicazione dell'appalto.
Effettivamente, come emerge dalla sentenza, nel caso di dichiarati illeciti professionali, si assiste ad un onere procedimentale della stazione appaltante piuttosto ampio.
In pratica, la stazione appaltante (meglio sarebbe dire il RUP) è tenuta/o, ad esempio, in presenza di pregresse risoluzioni contrattuali/irrogazioni di penali “a considerare tutti gli elementi di fatto della vicenda contrattuale pregressa - vale a dire sia le carenze esecutive del precedente contratto, poste a fondamento della risoluzione o dell'applicazione di sanzioni, che le ragioni della loro contestazione in giudizio da parte dell'appaltatore e, a maggior ragione, gli accertamenti contenuti nella sentenza, passata o non passata in giudicato”. Ciò, vale anche nel caso in cui una risoluzione non sia stata contestata in giudizio pur “senza entrare nel merito della valutazione della gravità dell'inadempimento rispetto alla diversa stazione appaltante, ma valutando la stessa rispetto al vincolo contrattuale da instaurare all'esito della procedura in corso”.
L'epilogo, quindi, è che nel giudizio di affidabilità del concorrente la stazione appaltante dia conto, in modo adeguato:
- di aver effettuato una autonoma valutazione delle idonee fonti di prova;
- di aver considerato le emergenti circostanze di fatto sotto il profilo della loro pertinenza e rilevanza in ordine all'apprezzamento di integrità morale e affidabilità professionale del concorrente. E, nell''apprezzare tale fatto, “l'amministrazione è chiamata a svolgere un sillogismo giuridico complesso che si articola su due livelli”, il primo è che il comportamento/fatto dichiarato sia oggettivamente in grado di incrinare l'affidabilità/integrità dell'appaltatore. Nel secondo livello, il comportamento/fatto deve essere messo in relazione “con il contratto oggetto dell'affidamento, così da poter declinare in termini relativi e concreti la nozione d'inaffidabilità e assenza d'integrità, ai fini della specifica procedura di gara interessata”.