RUBRICA AGGIORNAMENTO GIURISPRUDENZIALE n. 6/2022
TAR Toscana, sez. I, sent. n. 685/2022: al RUP spetta il potere di non aggiudicare l'appalto e di escludere l'offerta ritenuta non conforme.
Il responsabile unico del procedimento può adottare il provvedimento di esclusione non solo per ragioni documentali o amministrative ma, nonostante la posizione contraria della commissione di gara, anche per ragioni tecniche come nel caso in cui, ad esempio, l'offerta non risulti tecnicamente conforme alle prescrizioni della legge di gara. È quanto ha stabilito il Tar Toscana.
Il TAR toscano è tornato sulla questione dei rapporti tra il RUP (nella regione dirigente responsabile dei contratti, con acronimo DRC) e la commissione di gara, in particolare in relazione all'aggiudicazione dell'offerta. La commissione di gara ha proposto l'aggiudicazione trasmettendo gli atti al RUP che, ritenendo presenti degli scostamenti nell'offerta tecnica (rispetto al progetto esecutivo posto a base di gara) ha rinviato gli atti al collegio che, però, ha confermato il proprio operato e la propria valutazione.
La commissione ha espresso un giudizio notevolmente divergente dalle sottolineature del RUP, visto che i supposti scostamenti tecnici in realtà, per la commissione di gara, corrispondevano a semplici «integrazioni, precisazioni e migliorie che rendono il progetto meglio corrispondente alle esigenze della stazione appaltante, senza tuttavia alterare i caratteri essenziali delle prestazioni richieste».
La commissione ha, pertanto, ribadito la necessità di aggiudicare al RTI primo classificato.
Questa posizione non ha persuaso il RUP, che ha proceduto con l'esclusione del RTI primo graduato e della stessa impresa seconda classificata disponendo la valutazione dell'anomalia dell'offerta della terza in classifica.
In sostanza, il RUP non ha ritenuto conformi ai desiderata espressi nella legge di gara né la prima né la seconda classificata, escludendole.
I provvedimenti di esclusione sono stati immediatamente impugnati, sottolineando, tra l'altro, che la competenza sulle esclusioni secondo le disposizioni della legge di gara avrebbero dovuto ricadere sulla commissione.
Secondo il TAR, nel procedimento non è ravvisabile alcuna incompetenza del RUP nel decidere di non aggiudicare (e non confermare il verbale della commissione di gara) e, pertanto, di escludere le offerte con correlata responsabilità.
Anche se alcune disposizioni della legge di gara, se lette in modo «atomistico», potevano probabilmente portare ad affermare la competenza della commissione ad adottare anche i provvedimenti di esclusione, da una lettura non parziale è emersa invece una chiara distribuzione delle competenze.
In particolare, il disciplinare, «nel quadro della complessiva determinazione delle competenze rispettive dei tre organi della procedura (il presidente della commissione, la commissione di gara e il Drc che svolge, ai fini della legislazione regionale, le funzioni del Rup) ha attribuito inequivocabilmente al Drc il compito di approvare i verbali e adottare "il provvedimento con il quale dispone le esclusioni" dalla procedura». E, precisamente, nel caso di specie l'esclusione è stata disposta per ragioni tecniche ovvero «a seguito della riscontrata non conformità dell'offerta tecnica del concorrente al progetto posto a base di gara».
L'epilogo della sentenza ha una indubbia valenza pratica considerato che il giudice ha rammentato che il potere del RUP di adottare il provvedimento di esclusione non «risulta per nulla limitato alle sole esclusioni determinate da carenze documentali o altre ragioni "amministrative" (come implicitamente prospetto dalla ricorrente), ma (…) investe l'interezza delle ragioni di esclusione e, quindi, anche le esclusioni determinate da ragioni "tecniche", ovvero determinate dalla non rispondenza del progetto tecnico delle singole partecipanti alla procedura alle specifiche tecniche previste dal progetto esecutivo a base di gara».
Cons. Stat., sez. II, sent. n. 4857/2022: Affidamento in via d'urgenza, in caso di annullamento dell'aggiudicazione la PA paga.
Nel caso in cui l'ente appaltante proceda alla consegna anticipata dei lavori in via d'urgenza - cioè prima della stipula del relativo contratto di appalto - e successivamente l'aggiudicazione venga annullata in sede giurisdizionale, è configurabile una responsabilità precontrattuale in capo al medesimo ente appaltante. Tale responsabilità precontrattuale sussiste se vi è stato un comportamento negligente dell'ente appaltante in fase di redazione del bando o nello svolgimento delle successive operazioni di gara. Nel caso in cui tale responsabilità sia accertata, l'ente appaltante è tenuto a risarcire il danno nel limite del così detto interesse negativo – cioè le spese sostenute dall'appaltatore per la conclusione del contratto e quelle conseguenti alla perdita di ulteriori occasioni di guadagno – con esclusione del mancato utile della commessa. Quanto alla parte di appalto nel frattempo eseguito, viene a configurarsi una responsabilità contrattuale sempre dell'ente appaltante – nonostante formalmente il contratto non sia stato stipulato – che obbliga quest'ultimo al pagamento dello stesso, nei termini previsti dal contratto. Sono questi i principi affermati dal Consiglio di Stato, con una pronuncia particolarmente interessante in quanto fa il punto su alcune problematiche connesse alla consegna in via d'urgenza, ancora più attuali in relazione all'utilizzo potenzialmente generalizzato dell'istituto previsto dal d.l. n. 76/2020.
Il giudice amministrativo di primo grado accoglieva il ricorso solo parzialmente. Riteneva, infatti, che dalla revoca, ancorché legittima, degli atti di gara, possa effettivamente derivare una responsabilità precontrattuale dell'ente appaltante con conseguente obbligo di risarcimento del danno, in conseguenza della lesione dell'affidamento ingenerato nell'impresa aggiudicataria. Di conseguenza, condannava l'ente locale al risarcimento del danno da responsabilità precontrattuale, limitato, però, al solo interesse negativo, riferito cioè alle spese inutilmente sostenute in previsione della stipula del contratto nonché alle perdite subite per non avere potuto usufruire di altre opportunità contrattuali. In pratica, tali spese – da provare documentalmente – si sostanziavano nella polizza assicurativa, nella cauzione, nel pagamento delle altre spese contrattuali, nel pagamento delle forniture per l'allestimento del cantiere. Veniva, invece, escluso dal risarcimento il mancato utile della commessa, mentre il TAR non si pronunciava sui lavori nel frattempo eseguiti. Sia l'originario aggiudicatario che l'ente locale impugnavano la sentenza di primo grado davanti al Consiglio di Stato.
Sul punto il Consiglio di Stato - considerata l'esistenza di un contrasto giurisprudenziale - ha chiamato in causa l'Adunanza Plenaria sottoponendogli due questioni: a) se in termini generali il destinatario di un provvedimento amministrativo successivamente annullato in sede giurisdizionale possa vantare un legittimo e qualificato affidamento, sulla base del quale fondare una richiesta risarcitoria nei confronti dell'amministrazione; b) in caso di risposta positiva, nel ricorso di quali condizioni l'aggiudicatario di una gara di appalto possa chiedere il risarcimento del danno per lesione di affidamento incolpevole nell'ipotesi in cui il provvedimento di aggiudicazione sia successivamente revocato a seguito di una sentenza che ne abbia accertato l'illegittimità. L'Adunanza Plenaria si è quindi pronunciata sancendo i seguenti principi.
Sotto il primo profilo ha evidenziato che l'affidamento è un principio generale dell'azione amministrativa, che fa sorgere in capo al destinatario della stessa l'aspettativa al mantenimento nel tempo del rapporto giuridico sorto a valle di tale azione. Di conseguenza, è configurabile un affidamento del privato al legittimo esercizio del potere amministrativo che, se contrario ai principi di correttezza e buona fede, può essere fonte di responsabilità nel caso in cui il relativo provvedimento sia annullato in sede giurisdizionale. Sulla seconda questione ha affermato che nel settore delle procedure di affidamento dei contratti pubblici la responsabilità precontrattuale dell'ente appaltante, derivante dalla violazione dei principi generali di correttezza e buona fede, sussiste nella misura in cui il soggetto privato abbia maturato un ragionevole affidamento alla stipula del contratto, in considerazione del grado di sviluppo della procedura. In questa logica, la responsabilità precontrattuale non si configura in relazione a qualunque illegittimità della procedura di gara, che va invece valutata in concreto in relazione all'effettiva violazione dei canoni di correttezza e buona fede. Né l'eventuale esecuzione anticipata dell’appalto costituisce, di per sé, un elemento idoneo a configurare una responsabilità precontrattuale, giacché per questa ipotesi l'ordinamento già prevede una tutela indennitaria costituita dal rimborso delle spese sostenute dall'esecutore.
Facendo applicazione di questi principi, il Consiglio di Stato ha ritenuto che nel caso di specie vi sia stata un'evidente condotta colposa da parte dell'ente appaltante. Ciò sia in sede di redazione del bando che nella fase successiva in cui il seggio di gara, a fronte di una clausola equivoca, non ha optato per l'interpretazione volta a favorire la massima partecipazione alla gara. Peraltro, rispetto a entrambi i comportamenti colposi, non è configurabile alcuna responsabilità dell'impresa aggiudicataria, che ha ragionevolmente confidato nella legittimità dell'operato dell'ente appaltante. A fronte della responsabilità precontrattuale dell'ente appaltante, i danni risarcibili sono limitati al solo interesse negativo. Di conseguenza, correttamente il giudice di primo grado ha riconosciuto i danni conseguenti alle spese affrontate dall'aggiudicatario per predisporre la documentazione necessaria ai fini della stipula del contratto, in realtà mai avvenuta, e cioè quelle relative a: costituzione del raggruppamento, prestazione della cauzione definitiva, spese contrattuali, costi per noli e forniture necessari per l'apprestamento del cantiere.
In termini diversi si pone la questione con riferimento alla parte di appalto eseguito dall'aggiudicatario, a seguito della consegna in via d'urgenza. Per questi l'ente appaltante è chiamato a rispondere a titolo di responsabilità discendente dall'esecuzione del rapporto contrattuale, da ritenere sussistente sia pure in mancanza della stipula del contratto. Sul punto, la giurisprudenza ha, infatti, affermato che le obbligazioni nascenti tra le parti a seguito della consegna anticipata in via d'urgenza sono pienamente vincolanti e, pur in assenza di un contratto stipulato, sono inquadrabili nell'ambito della responsabilità contrattuale. Ne consegue che per i servizi eseguiti l'ente appaltante deve corrispondere all'appaltatore quanto contrattualmente pattuito, in coordinamento peraltro con la previsione contenuta all'art. 32, co. 8, del Codice, secondo cui l'appaltatore ha diritto al rimborso delle spese sostenute per l'esecuzione dei lavori. La consegna in via d'urgenza nel decreto semplificazioni. Come ricordato all'inizio, l'art. 8, co. 1, lett. a) del d.l. n. 76/2020, autorizza in via generalizzata gli enti appaltanti alla consegna in via d'urgenza. Si tratta di una facoltà e non di un obbligo, anche se è evidente l'intento acceleratorio che la previsione intende perseguire. Proprio in relazione all'esercizio di tale facoltà, i principi affermati nella sentenza in commento possono fornire utili indicazioni agli enti appaltanti. La consegna in via d'urgenza sarà tanto più facilmente attuabile quanto più l'ente appaltante ritenga remote possibili contestazioni in sede giurisdizionale e, di conseguenza, difficilmente configurabili ipotesi di responsabilità precontrattuale. In ogni caso, si dovrà tenere in considerazione che la sussistenza di una responsabilità precontrattuale non è automatica, ma è collegata a comportamenti colposi dell'ente appaltante che abbiano creato una legittima aspettativa alla conclusione del contratto in capo all'aggiudicatario. In ogni caso, essa dà luogo all'obbligo di risarcire esclusivamente i danni corrispondenti all'interesse negativo (spese effettivamente sostenute ai fini della stipula del contratto, poi non avvenuta). A cui si dovrà aggiungere il riconoscimento dei costi sopportati per i lavori nel frattempo eseguiti.
Cons. Stat., sez. V, sent. n. 4715/2022: per l’avvalimento vale la dichiarazione d'impegno dell'ausiliaria anche se il contratto è sottoscritto dopo la scadenza del bando.
Il contratto di avvalimento esiste fin dalla dichiarazione di impegno dell'ausiliaria, se prodotta entro i termini della scadenza del bando. È quanto ha deciso il Consiglio di Stato.
I giudici di Palazzo Spada hanno affrontato la questione dei rapporti tra soccorso istruttorio e avvalimento nel caso in cui il contratto non rechi una data di stipula antecedente alla scadenza del bando.
L'aggiudicataria di una gara, che intendeva avvalersi dell'avvalimento per la SOA, cat. OS24, non ha prodotto, con la domanda, il contratto ma solo la dichiarazione dell'ausiliaria.
La stazione appaltante ha attivato il soccorso istruttorio integrativo a cui ha fatto seguito la produzione del documento richiesto.
L'aggiudicazione è stata impugnata perché il contratto, a detta del ricorrente, è stato stipulato successivamente al termine per la scadenza del bando. Circostanza che porta, per giurisprudenza costante, a ritenere irrituale la partecipazione per una inaccettabile acquisizione successiva dei requisiti.
In primo grado (TAR Calabria, sent. n. 951/2021) il ricorso è stato accolto e l'aggiudicazione annullata. Secondo il giudice, il contratto è stato sottoscritto dall'ausiliaria solo dopo la scadenza del termine per partecipare alla competizione.
Né poteva affermarsi che tra le parti si fosse raggiunto l'accordo, visto che la dichiarazione dell'ausiliaria (prodotta con i documenti di gara) di impegnarsi nell'avvalimento doveva ritenersi parziale perché non conteneva l'accettazione esplicita del corrispettivo pattuito (per il prestito del requisito). La sentenza è stata impugnata ed il Consiglio di Stato, sulla questione, ha ritenuto evidentemente applicabili i principi generali ed in particolare l'art. 1326 c.c. che, in relazione alla conclusione del contratto, al primo comma sancisce che «Il contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell'accettazione dell'altra parte».
La proposta contrattuale, ha ricordato la sentenza, ha costituito una "dichiarazione recettizia" che prefigura il regolamento contrattuale.
La proposta, per essere tale, deve contenere «la completa formulazione del regolamento negoziale, attraverso la predisposizione di corrispettivi vincolanti ai fini dell'esecuzione delle prestazioni, in modo tale da richiedere la pura e semplice accettazione dell'altro contraente, senza ulteriori integrazioni» (Cassazione civile sezione VI, n. 15856/2012).
Il soggetto a cui è rivolta l'offerta ha le due possibilità: l'accettazione o il rifiuto. La prima produce l'effetto della conclusione del contratto «solamente se conforme alla proposta, in quanto, ai sensi dell'articolo 1326, comma 5, del codice civile, "Un'accettazione non conforme alla proposta equivale a nuova proposta"».
I giudici di Palazzo Spada hanno ritenuto perfettamente individuabile la proposta firmata dall'ausiliata e trasmessa all'ausiliaria prima della scadenza del termine della presentazione delle offerte e la stessa (pur se il contratto è stato sottoscritto dall'ausiliaria solo successivamente alla scadenza del bando) è risultata pienamente accettata e condivisa come declinato nella «dichiarazione di avvalimento di impresa ausiliaria (articolo 89 Dlgs 50/2016)» trasmessa, appunto, alla stazione appaltante con la domanda di partecipazione.
La proposta di contratto (lo schema vero e proprio) conteneva tra le varie clausole anche la previsione del corrispettivo, che è stato accettato dall'ausiliaria con la dichiarazione di avvalimento. Dichiarazione che, non solo, vale nei confronti della stazione appaltante e dello stesso soggetto ausiliato, ma ha anche il valore di accettazione della proposta contrattuale.
Equivale, in pratica, ad una manifestazione di volontà «di aderire all'altrui proposta, e solo se contiene modifiche al regolamento contrattuale vale come nuova proposta» (Cassazione civile, sezione III, 1770/2014).
L'accettazione della proposta, cui occorre far retrocedere il momento di perfezionamento del contratto di avvalimento, non richiede, del resto, particolari formule visto che si può desumere «anche implicitamente da qualsiasi dichiarazione» e quindi anche da un comportamento concludente (Cassazione civile, sezione 6 – 3, 2666/2022).