RUBRICA AGGIORNAMENTO GIURISPRUDENZIALE n 10/2022
Cons. Stat., sez. V, sent. n. 7794/2022: procedure negoziate, via libera alle candidature se la PA pubblica l'avviso
Qualora un ente appaltante decida di svolgere una procedura negoziata e, successivamente, pubblichi sul proprio sito istituzionale il relativo avviso di indizione, la procedura perde i suoi caratteri tipici e finisce per assimilarsi a una procedura aperta. Di conseguenza, se un operatore che non era stato originariamente scelto dall'ente per partecipare alla procedura, avendone avuta conoscenza in virtù dell'avviso pubblicato, chiede di essere invitato, l'ente appaltante può – e secondo una certa interpretazione deve – accogliere tale richiesta di invito.
Inoltre, in una procedura negoziata che presenti le indicate caratteristiche non trova applicazione il principio di rotazione che, per sua natura, non ha ragion d'essere nell'ambito di una procedura sostanzialmente aperta al mercato.
Sono queste le affermazioni contenute in una pronuncia in commento, che presenta un notevole interesse perché affronta un aspetto molto critico relativo al concreto svolgimento della procedura negoziata, anche alla luce di alcune disposizioni peculiari contenute nel decreto semplificazioni.
Un ente locale aveva deliberato con apposita determina a contrarre di avviare una procedura negoziata ai sensi dell'art. 36, co. 2, lett. b), del Codice (che in realtà fa riferimento all'affidamento diretto preceduto dall'acquisizione di tre preventivi) per l'affidamento di un appalto di servizi sottosoglia.
Un operatore economico, pur non essendo stato originariamente selezionato dall'ente committente ai fini della partecipazione alla procedura, chiedeva, comunque, di essere invitato, anche se non risultava in possesso dell'iscrizione nella indicata piattaforma Sintel. L'ente committente accoglieva la richiesta e procedeva all'invito. Alla procedura partecipavano solo due soggetti: il primo era tra quelli originariamente selezionati, il secondo era appunto il richiedente l'invito in seconda istanza. A fronte dell'intervenuta aggiudicazione a favore del primo operatore, il secondo proponeva ricorso davanti al giudice amministrativo. Alla base del ricorso la ritenuta violazione del principio di rotazione. Secondo il ricorrente l'aggiudicatario non avrebbe dovuto essere invitato alla procedura in quanto precedente affidatario di un servizio analogo (gestione e consegna degli atti depositati presso il Comune).
Il TAR Lombardia respingeva il ricorso. Alla base della decisione l'argomentazione fondamentale secondo cui le concrete modalità di svolgimento della procedura avevano trasformato la stessa in una procedura sostanzialmente aperta, in quanto pubblicizzata sul sito del Comune e la cui partecipazione era consentita a tutti gli operatori interessati. Da qui la non applicabilità del principio di rotazione. Inoltre, il suddetto principio non poteva comunque trovare spazio in relazione alla partecipazione del concorrente risultato aggiudicatario, in quanto il servizio di cui quest'ultimo era precedentemente affidatario e quello oggetto della nuova procedura non erano omogenei.
Con il primo motivo di appello viene posta la questione di maggiore interesse. L'appellante ha, infatti, contestato la qualificazione che il TAR ha operato della procedura in parola. Nonostante la delibera a contrarre parlasse esplicitamente di procedura negoziata e tale fosse inequivocabilmente la volontà dell'ente committente, il giudice amministrativo ha ritenuto, in realtà, che si trattasse di una procedura "sostanzialmente aperta". Secondo l'appellante, invece, non erano sufficienti a farla considerare tale né il fatto che la procedura fosse stata pubblicizzata sul sito del Comune, né la circostanza che alla stessa fosse stato invitato un operatore che ne aveva fatto esplicita richiesta.
Il motivo di appello è stato respinto dal Consiglio di Stato. Secondo il giudice amministrativo di secondo grado, invero, deve considerarsi elemento dirimente il fatto che a fronte della richiesta di invito formulata da un operatore che non era stato originariamente selezionato dall'ente committente - che era proprio l'appellante -, quest'ultimo abbia, comunque, deciso di invitarlo, al fine dichiarato di aumentare il livello di concorrenzialità. Peraltro tale operatore era privo dell'iscrizione nella piattaforma Sintel, cosicché lo stesso ente appaltante aveva superato il filtro selettivo che si era originariamente autoimposto. In questo modo, l'ente appaltante aveva finito per aprire la procedura a tutti gli operatori che avessero avanzato richiesta di invito, di fatto facendo venir meno i caratteri tipici della procedura negoziata e trasformandola in procedura "sostanzialmente" aperta.
In sostanza, l'avvenuta pubblicazione della procedura sul sito internet dell'ente committente, con la specifica indicazione del servizio oggetto di affidamento, aveva comportato che fosse demandata al mercato l'individuazione degli operatori interessati a parteciparvi. Conclusione confermata dal fatto che lo stesso ente, a fronte della richiesta di invito di un soggetto non originariamente invitato – peraltro privo anche del requisito inizialmente previsto – aveva comunque deciso di invitarlo, in applicazione del principio della massima concorrenzialità.
La qualificazione della procedura in esame come procedura aperta ha portato il Consiglio di Sato a ritenere inapplicabile il principio di rotazione. Ciò sulla base dell'orientamento giurisprudenziale consolidato secondo cui, qualora la procedura definita come negoziata presenti dei caratteri peculiari tali da trasformarla sostanzialmente in procedura aperta, non ricorre la ratio alla base del principio di rotazione, che è quella di evitare di favorire sempre i medesimi operatori in una negoziazione di tipo ristretto. A ciò si aggiunga che, nel caso di specie, non sussiste neanche l'identità di oggetto tra il precedente servizio svolto dall'aggiudicatario e quello oggetto del nuovo affidamento, altro presupposto necessario ai fini dell'applicazione del principio di rotazione.
La diversità tra le prestazioni oggetto del precedente appalto e quelle di cui all'appalto da affidare comporta quella sostanziale "alterità qualitativa" che fa venire meno la stessa ragion d'essere della rotazione.
La vicenda in esame presenta alcuni caratteri peculiari, primo fra tutti l'invito esteso a un operatore che non aveva il requisito di qualificazione originariamente richiesto. Tuttavia, al di là di tali specificità, essa pone un tema di ordine generale sui caratteri propri della procedura negoziata e, in particolare, sui rapporti tra tale procedura e le forme di pubblicità. In questo senso, vi è un passaggio della sentenza particolarmente significativo, laddove il giudice amministrativo indica l'avvenuta pubblicazione dell'avviso della procedura sul sito dell'ente committente come uno degli elementi fondamentali – per alcuni versi l'elemento centrale - ai fini della trasformazione della procedura negoziata in procedura (sostanzialmente) aperta.
La questione ha un risvolto operativo immediato, che si riassume nella domanda: a fronte della pubblicazione dell'avviso di una procedura negoziata e alla conseguente eventuale richiesta di invito di un operatore del settore, che margini ha l'ente committente per respingere tale richiesta? Questa domanda, come accennato, implica l'esame dei rapporti tra procedura negoziata e forme di pubblicità. Al riguardo, occorre partire dalla norma di carattere generale contenuta nell'art. 36 del d.lgs. n. 50/16.
In particolare, assume rilievo la previsione contenuta alla lett. c), co. 2, secondo cui la procedura negoziata si svolge previa consultazione di operatori economici individuati tramite indagini di mercato o elenchi di fiducia. Non dissimile la previsione contenuta alla lett. b), relativa all'affidamento diretto previa valutazione di preventivi. Risulta evidente che, ai fini dello svolgimento della procedura negoziata, il legislatore non ha previsto alcuna forma di pubblicità preventiva. Questa conclusione è rafforzata dal fatto che la stessa norma impone agli enti appaltanti esclusivamente una pubblicità successiva, in cui – a evidenti fini di trasparenza - si dà conto dei risultati della procedura e dei nominativi dei soggetti invitati. Sulla base di queste previsioni si potrebbe concludere che l'ente committente, che sottoponga la procedura negoziata a una qualche forma di pubblicità preventiva, ne snatura i caratteri e crea una commistione in grado di creare confusione e contestazioni di vario tipo.
Questa conclusione deve, tuttavia, essere rimessa in discussione in relazione a una specifica previsione introdotta nel decreto semplificazioni (d.l. n. 76/2020) in sede di legge di conversione (l. n. 120/2020). Questa previsione stabilisce testualmente che "Le stazioni appaltanti danno evidenza dell'avvio delle procedure negoziate…tramite pubblicazione di un avviso nei rispettivi siti internet istituzionali". La disposizione in commento introduce un vero e proprio paradosso: delinea, infatti, una procedura negoziata, per definizione senza pubblicità, che è soggetta, nel contempo, a preventiva pubblicità. Ed è un paradosso che genera molteplici problematiche, come la pronuncia del Consiglio di Stato in parola evidenzia in maniera chiara.
È, infatti, evidente che se si impone una forma di pubblicità preventiva, la procedura si apre al mercato. Con l'ulteriore conseguenza che ben difficilmente l'ente committente sarà nelle condizioni di respingere eventuali richieste di invito da parte di operatori del settore. Ma, in questo modo, la selezione dei soggetti da invitare non è più di competenza esclusiva dell'ente committente, secondo le modalità indicate dalla norma – indagine di mercato o elenco di fiducia –, ma è rimessa alla risposta del mercato. La conseguenza ultima sembra proprio essere quella indicata dal Consiglio di Stato: la procedura negoziata, nei fatti, non è più tale, e finisce per assimilarsi a una procedura aperta. Mentre nella procedura negoziata tipica l'unica pubblicità che può avere un senso è quella successiva, che dà conto dell'operato dell'ente anche in relazione alla scelta dei soggetti invitati, ai fini della necessaria trasparenza dell'affidamento.
Cons. Stat., sez. V, sent. n. 7728/2022: esclusione dalle gare per gravi illeciti professionali, il Consiglio di Stato amplia gli spazi di valutazione della PA.
Ai fini della definizione di grave illecito professionale, quale causa di esclusione dalla gara, l'ente appaltante gode di un'ampia discrezionalità, potendosi considerare tale ogni condotta posta in essere nell'esecuzione dell'attività professionale idonea a incidere negativamente sull'integrità e affidabilità dell'operatore economico.
In questo contesto, l'ipotesi contemplata alla lett. c), co. 5, dell'art. 80 del Codice, che fa riferimento, in termini generali, ai gravi illeciti professionali da dimostrare con mezzi adeguati da parte dell'ente appaltante, va tenuta distinta da quella di cui alla successiva lett. c-ter), che si riferisce a significative carenze nell'esecuzione di un precedente appalto che abbiano causato la risoluzione per inadempimento o la condanna al risarcimento del danno.
Ne consegue che l'ente appaltante può legittimamente escludere un concorrente dalla gara sul presupposto di carenze e inadempimenti riscontrati nell'esecuzione di un precedente contratto di appalto, ancorché gli stessi non abbiano dato luogo a una risoluzione del contratto stesso o a una condanna al risarcimento del danno.
Sono questi i principi affermati dal Consiglio di Stato, con una pronuncia che, nel ricostruire i presupposti e l'ambito di operatività del grave illecito professionale quale causa di esclusione dalle gare, offre un'importante chiave di lettura di due fattispecie, entrambe ricomprese nella figura più generale, che consente di superare una confusione interpretativa dovuta al sovrapporsi di norme non sempre accompagnato dal necessario coordinamento.
Una società specializzata nella validazione dei progetti relativi a opere pubbliche aveva provveduto, in esecuzione dell'incarico ricevuto, a validare il progetto esecutivo per la realizzazione della sede dell'ente committente. Successivamente, al ricevimento del rapporto conclusivo di validazione, l'ente committente rilevava una serie di criticità del progetto esecutivo predisposto e validato.
A seguito di tali criticità, l'ente committente contestava al progettista l'inadempimento delle prestazioni contrattuali, riservandosi di intraprendere un'azione per responsabilità professionale nei confronti della società di validazione. Nel contempo, il medesimo ente committente bandiva una gara per l'affidamento di un nuovo incarico di validazione di altri progetti, suddivisa in tre lotti. La società affidataria del precedente incarico presentava regolare offerta e risultava aggiudicataria di un lotto. Tuttavia, prima dell'emanazione del provvedimento formale di aggiudicazione definitiva, l'ente committente – a conclusione di un'istruttoria relativa allo svolgimento del precedente incarico e in relazione alle carenze esecutive riscontrate in merito all'attività di validazione – procedeva all'esclusione del concorrente dalla gara in attuazione della previsione di cui all'art. 80, co. 5, lett. c), del d.lgs. n. 50/16. Ciò, sul presupposto che le carenze riscontrate nell'esecuzione del precedente incarico configurassero un grave illecito professionale ai sensi della norma da ultimo richiamata.
In base alla medesima motivazione, l'ente committente procedeva, poi, ad un'ulteriore esclusione del concorrente da una nuova gara nel frattempo bandita sempre per l’affidamento di un altro incarico di validazione.
Il concorrente impugnava i provvedimenti di esclusione davanti al giudice amministrativo. Il TAR Lombardia respingeva il ricorso ritenendolo in parte improcedibile e in parte infondato nel merito. La decisione del primo giudice veniva, quindi, fatta oggetto di appello davanti al Consiglio di Stato.
Con il primo motivo di appello il ricorrente contesta la sentenza di primo grado ritenendo che il TAR abbia erroneamente ricondotto la fattispecie che ha visto interessato il concorrente escluso nell'ipotesi contemplata dalla lett. c), co. 5, dell'art. 80, invece che in quella della successiva lett. c–ter). Secondo il ricorrente, la diversità tra le due ipotesi emerge chiaramente da un raffronto letterale delle relative disposizioni. La lett. c) prevede l'esclusione nell'ipotesi in cui la stazione appaltante dimostri con mezzi adeguati che il concorrente si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità e affidabilità.
Diversa la formulazione contenuta nella successiva lett. c–ter), che collega l'esclusione a significative o persistenti carenze nell'esecuzione di un precedente contratto di appalto che abbiano determinato la risoluzione dello stesso per inadempimento ovvero la condanna al risarcimento del danno o altre sanzioni comparabili. Tenuto conto di tale diversità, la lettura coordinata delle due previsioni porterebbe alla conclusione che la prima ipotesi (lett. c) avrebbe carattere residuale, nel senso che sarebbe una norma di chiusura idonea a colpire le ipotesi di esclusione per grave illecito professionale non esplicitamente contemplate da altre previsioni contenute nella medesima norma. Di conseguenza, la lett. c) potrebbe trovare applicazione solo ove i fatti contestati non siano inquadrabili nelle altre fattispecie previste dal co. 5 dell'art. 80.
In particolare, nel caso di specie avrebbe dovuto trovare eventuale applicazione la previsione di cui alla lett. c–ter). Tuttavia, in concreto, non sarebbe intervenuta né la risoluzione del precedente contratto, né la condanna al risarcimento del danno o altra sanzione equiparabile, per cui non sussistevano i presupposti affinché potesse trovare applicazione tale ipotesi di esclusione, l'unica astrattamente invocabile nel caso di specie.
Il Consiglio di Stato ha respinto questo motivo di appello e la relativa interpretazione. Alla base del ragionamento accolto dal giudice di secondo grado l'evidenza che le due disposizioni pur riguardando in termini generali l'ipotesi del grave illecito professionale, si riferiscono a due fattispecie sostanzialmente diverse tra loro. La lett. c-ter) riguarda il caso in cui l'inadempimento dell'operatore economico in relazione a un precedente contratto di appalto abbia portato alla risoluzione anticipata dello stesso, appunto, per inadempimento, ovvero a una condanna per risarcimento del danno. La precedente lett. c) si riferisce, invece, al diverso caso in cui, pur non ricorrendo i presupposti indicati per l'ipotesi precedente – e cioè non vi sia stata né risoluzione per inadempimento né condanna per risarcimento del danno – la stazione appaltante può, comunque, dimostrare, con qualunque mezzo idoneo, che il concorrente si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità e affidabilità.
Nel caso di specie, risulta dagli atti che i fatti contestati all'operatore economico non erano inquadrabili nella fattispecie di cui alla lett. c–ter), non essendovi stata una risoluzione per inadempimento del precedente contatto di appalto, né, tanto meno, una pronuncia giudiziale di risarcimento del danno. Di contro, tali fatti ben potevano integrare la fattispecie indicata alla lett. c), che, proprio in relazione alla sua formulazione di carattere più ampio e generale, consente alla stazione appaltante di procedere all'esclusione del concorrente qualora la stessa ritenga, sulla base di solide motivazioni e di mezzi di prova adeguati, che il pregresso comportamento del concorrente integri un'ipotesi di grave illecito professionale.
Questa lettura interpretativa, che attribuisce un rilievo autonomo alla previsione della lett. c), trova riscontro anche nelle norme comunitarie. La Direttiva 2014/24 consente, infatti, alle stazioni appaltanti di escludere i concorrenti che abbiano commesso gravi illeciti professionali senza ulteriori specificazioni, riconoscendo così un ampio potere valutativo alle stesse. E sulla stessa linea si pone anche la giurisprudenza comunitaria, dove si trova affermato che la nozione di errore professionale ricomprende qualsiasi comportamento scorretto che venga a incidere sulla credibilità professionale dell'operatore economico.
Anche la giurisprudenza nazionale ha offerto un'interpretazione ampia della fattispecie della lett. c), ritenendo che la stessa risponda all'esigenza di carattere generale, volta ad assicurare l'affidabilità dei concorrenti alle gare, requisito che si deve intendere garantito solo se si prendono in considerazione tutti gli eventi pregressi potenzialmente idonei a minare tale affidabilità.
La valutazione di tali eventi è lasciata al giudizio discrezionale dell'ente appaltante, fermo restando che sui concorrenti grava un obbligo informativo da intendere in termini generalizzati, nel senso che gli stessi devono fornire una rappresentazione quanto più ampia possibile delle vicende pregresse che possono incidere sulla loro integrità professionale. Alla luce di quanto detto, la conclusione è che il grave illecito professionale indicato alla lett. c), co, 5, dell'art. 80 ricomprende ogni condotta collegata all'esercizio dell'attività professionale contraria a una norma giuridica o più in generale agli obblighi di corretta esecuzione delle prestazioni.
Resta fermo che la stazione appaltante gode di un'ampia discrezionalità in sede di valutazione dei fatti, come è confermato dalla circostanza che la stessa può dimostrare la sussistenza dell'illecito professionale con ogni mezzo adeguato, formula ampia e che volutamente evita di circoscrivere l'attività valutativa nell'ambito di fattispecie tipizzate. Coerentemente, il sindacato riservato al giudice amministrativo in merito alle valutazioni della stazione appaltante incontra i limiti tipici del così detto riscontro esterno, circoscritto cioè esclusivamente alla verifica in merito alla non manifesta abnormità e contraddittorietà delle motivazioni poste a base della valutazione stessa.
La pronuncia del Consiglio di Stato ha il merito di fare chiarezza su una questione dubbia, resa tale anche da un intervento legislativo non particolarmente felice. Occorre, infatti, ricordare che la lett. c-ter) del co. 5 è stata inserita successivamente – ad opera del d.l. n. 135/2018, unitamente ad altra ipotesi di cui alla lett. c–bis) - nell'ambito del co. 5, che, prima di tale intervento, prevedeva in termini generici la causa di esclusione del grave illecito professionale, contemplata alla sola lett. c) . L'introduzione dell'ipotesi di cui alla lett. c–ter) ha fatto, quindi, sorgere il dubbio che la stessa potesse avere una funzione limitativa della fattispecie generale del grave illecito professionale. Il giudice amministrativo respinge questa lettura, evidenziando che le fattispecie particolari introdotte dal legislatore nulla tolgono all'ampiezza dell'ipotesi più generale del grave illecito professionale che può sussistere anche in mancanza dei presupposti indicati dalle nuove disposizioni introdotte, sulla base di una valutazione della stazione appaltante che resta ampiamente discrezionale.