RUBRICA AGGIORNAMENTO GIURISPRUDENZIALE n. 11/2022
ANAC: divieto di prestazioni gratuite nei confronti della PA.
Sul diffuso malcostume della PA di chiedere o di accettare prestazioni gratuite (o con compenso simbolico) da parte di professionisti della progettazione è nota la ferma contrarietà dell'ANAC, che ha sempre censurato tale operato. Diventa, dunque, paradossale l'ultimo caso di cui l'Autorità è venuta a conoscenza, quella del Comune abruzzese di Calascio (TE), che ha chiesto ed ottenuto una prestazione gratuita per progettare un albergo.
L'oggetto della prestazione gratuita - cioè lo studio di fattibilità - è stato anche "premiato" dal PNRR, che ha concesso al Comune i fondi per realizzare il progetto. Del caso del Comune l'Anticorruzione si è occupata con provvedimento dello scorso 2 novembre, pubblicato sul sito il giorno 30 dello stesso mese. Ma non c'è solo la questione della prestazione gratuita. Il testo dell'Anac racconta, anche, della valutazione degli immobili da acquistare da parte del Comune per destinarli ad albergo, a un prezzo nettamente superiore a quello di riferimento dell'Osservatorio immobiliare dell'Agenzia delle Entrate.
Il Comune è stato molto generoso nel pagare gli immobili, è stato invece molto parco nella fase di acquisizione dello studio di fattibilità con il quale ha, poi, partecipato al bando PNRR, al punto che ha ottenuto la prestazione dietro la corresponsione di un solo rimborso forfettario di 100 euro.
Da quanto si legge nel provvedimento dell’Autorità, “Un Comune non può far predisporre a un professionista esterno il progetto e la documentazione necessaria alla partecipazione a un bando senza fare una procedura ad evidenza pubblica e senza prevedere un adeguato compenso. Nemmeno se il professionista si offre a titolo gratuito. È un comportamento contrario alle regole della concorrenza e della par condicio”. Una procedura concorrenziale ci deve essere, ribadisce l'Autorità, ed il compenso deve essere previsto nel bando. Al massimo, se proprio il professionista vuole operare pro bono, o sceglie di puntare sui vantaggi indiretti della sua prestazione, “potrà, se consentito dal bando, eventualmente rinunciare offrendo gratuitamente la propria prestazione”.
Nel caso del comune abruzzese, “si osserva che la S.A. ha di fatto fruito di un servizio di architettura contravvenendo a tutti i principi sopra enunciati: concorrenza e par condicio, non avendo effettuato alcuna procedura ad evidenza pubblica, ed equo compenso avendo acquisito il servizio gratuitamente”. Peraltro, l'Ente è stato opaco e sbrigativo nel rapporto con il progettista, non avendo chiarito “neppure la modalità con la quale è avvenuta l'autocandidatura dell'offerente, non essendo stato emesso dall'Amministrazione comunale alcun avviso pubblico relativo all'esigenza di acquisire supporto tecnico per la partecipazione al bando in esame”. Il Comune non ha mai esplicitato, nei vari atti, “né la natura né l'entità della prestazione resa dal collaboratore architetto, non ritenendosi neppure necessaria la stipula di un contratto con il professionista”.
L'Anac ricorda, infine, che “la recente legge delega in materia di contratti pubblici n. 78 del 21 giugno 2022, al fine di evitare eventuali abusi e distorte applicazioni in primo luogo del principio dell'equo compenso sopra richiamato, ha inteso restringere la possibilità di richiedere/offrire prestazioni professionali gratuite, prevedendo esplicitamente quale principio da adottare per la redazione della nuova disciplina sui contratti pubblici il "divieto di prestazione gratuita delle attività professionali, salvo che in casi eccezionali e previa adeguata motivazione"”.
TAR Abruzzo, sez. I, sent. n. 410/2022: non c'è affidamento diretto se la PA consulta più operatori chiedendo un'offerta.
Nel caso di affidamento diretto, qualora l'ente appaltante decida di far precedere lo stesso dalla preventiva consultazione di più operatori economici cui viene chiesta la relativa offerta, si ha l'attivazione implicita di una vera procedura di gara. A tale procedura si applicano tutti i principi propri dell'evidenza pubblica in senso stretto, primi tra tutti i principi della parità di trattamento, di imparzialità e di par condicio. Deve, di conseguenza, considerarsi illegittimo il comportamento dell'ente appaltante che ha definito i criteri di valutazione delle offerte in un momento successivo alla ricezione delle medesime e che ha consentito che uno degli operatori economici modificasse la propria offerta successivamente alla sua presentazione.
Sono questi i principi affermati nella sentenza in commento, che affronta il tema degli affidamenti diretti e delle modalità da seguire per procedervi, tema che ha acquisito un rilievo sempre maggiore in considerazione dell'estensione dell'ambito applicativo dell'istituto. Le conclusioni cui giunge la sentenza suscitano, tuttavia, più di una perplessità, venendo a piegare gli affidamenti diretti a logiche pienamente concorrenziali che finiscono per snaturare i caratteri propri dell'istituto.
In punto di fatto, un ente appaltante doveva procedere all'affidamento di un servizio. Considerato che l'importo stimato dell’appalto era inferiore a 40.000 euro, decideva di procedere tramite affidamento diretto ai sensi dell'art. 36, co. 2, lettera a), del d.lgs. n. 50/2016. Tuttavia, lo stesso ente appaltante decideva di far precedere tale affidamento diretto dalla richiesta di un'offerta da parte di alcuni operatori preventivamente selezionati. Presentavano, quindi, offerta due operatori, tra cui il precedente gestore del servizio, cui l'ente appaltante decideva di affidare il servizio stesso. A fronte di questa decisione, l'altro operatore contestava la legittimità dell'affidamento e proponeva ricorso davanti al giudice amministrativo. I motivi di ricorso si articolavano tutti in relazione a presunte illegittimità poste in essere dall'ente appaltante in fase di selezione del contraente. Affidamento diretto e consultazione preventiva.
In particolare, il ricorrente ha sostenuto che, nel momento in cui l'ente appaltante ha deciso di far precedere l'affidamento diretto dalla consultazione preventiva di più operatori economici con la richiesta della relativa offerta, avrebbe per ciò stesso avviato una vera e propria procedura comparativa cui si applicherebbero in toto i principi di cui all'art. 30 del d.lgs. n. 50/16.
Tali principi sarebbero stati violati sotto un duplice profilo. In primo luogo, l'ente appaltante avrebbe definito i criteri di selezione dell'offerta ai fini dell'individuazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa solo successivamente alla presentazione e all'avvenuta conoscenza delle offerte medesime. In secondo luogo, si sarebbe consentito all'operatore poi risultato affidatario di modificare la misura del canone concessorio – uno degli elementi fondamentali sulla base del quale scegliere la proposta migliore - successivamente alla presentazione dell'offerta, in tal modo violando il principio base dell'immodificabilità dell'offerta. Infine, il ricorrente riteneva violato il principio di rotazione, non avendo l'ente appaltante fornito adeguata motivazione in merito alla decisione di invitare alla consultazione preliminare il gestore uscente.
Il giudice amministrativo ha accolto il ricorso, ritenendo fondati i relativi motivi. Il passaggio centrale della decisione del giudice amministrativo è quello secondo cui l'ente appaltante, nel momento in cui decide di consultare una pluralità di operatori per procedere all'affidamento, ancorché di importo inferiore ai 40.000 euro per ciò stesso avvia una procedura di gara. Nello specifico, questa attività procedimentale si è sviluppata con l'invito rivolto a più operatori, presentazione dell'offerta da parte degli stessi, valutazione comparativa delle offerte pervenute mediante criteri di natura tabellare volti a individuare l'offerta più conveniente. Secondo il giudice amministrativo, la caratterizzazione dell'attività posta in essere dall'ente appaltante, nei termini descritti, comporta che lo stesso abbia svolto sostanzialmente una procedura di gara. La conseguenza è che, ai fini della selezione della migliore offerta, trovano applicazione i principi generali che governano lo svolgimento delle procedure di gara, primi tra tutti il principio della parità di trattamento e quello di imparzialità e trasparenza.
Nel caso di specie, tali principi risulterebbero violati per il fatto che l'ente appaltante ha definito i criteri di valutazione delle offerte quando le stesse erano già note e non preventivamente, come è necessario al fine di assicurare la trasparenza dell'iter procedurale. La necessità dell'indicazione preventiva dei criteri di selezione delle offerte trova, peraltro, un riferimento anche testuale nella previsione dell'art. 32 del d.lgs. n. 50/16, secondo cui nella determina a contrarre devono, appunto, essere indicati anche tali criteri. Nel caso di specie i criteri non compaiono nella lettera di invito, ma vengono in rilevo, per la prima volta, nel verbale di comparazione delle offerte, quindi, quando il contenuto delle stesse era già conosciuto. Ma anche il principio dell'immodificabilità dell'offerta – che a sua volta costituisce una derivata dei più generali principi di trasparenza e par condicio – risulta violato nella misura in cui l'ente appaltante ha consentito che uno degli offerenti modificasse la misura del canone concessorio, che è uno degli elementi che lo stesso ente appaltante ha valutato ai fini dell'individuazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa.
L'intero ragionamento svolto dal giudice amministrativo si fonda sull'affermazione principale: la preventiva consultazione di una pluralità di operatori di mercato, attraverso la richiesta agli stessi delle relative offerte, comporta che l'affidamento diretto si trasformi in una procedura comparativa in tutto e per tutto assimilabile a una gara. La naturale conseguenza è che, nella selezione dell'offerta più conveniente, l'ente appaltante dovrà applicare i principi generali che presiedono allo svolgimento delle gare (trasparenza, parità di trattamento, etc.).
In realtà, l'assimilazione dell'affidamento diretto a una procedura di gara sconta un salto logico che non appare di immediata comprensione. Non è chiaro, infatti, perché la preventiva richiesta di offerte dovrebbe di per sé trasformare l'affidamento diretto in una procedura di gara. Nella logica dell'affidamento diretto la previa consultazione degli operatori economici - attraverso la richiesta di preventivi che può anche spingersi fino alla formulazione di offerte – ha la sola funzione di consentire all'ente una reale cognizione della situazione di mercato, così da poter effettuare la propria scelta con maggiore cognizione di causa. Ritenere questa consultazione un elemento idoneo a stravolgere i caratteri propri dell'affidamento diretto per trasformarlo in una procedura di gara significa alterare il senso e la funzione della consultazione stessa, attribuendogli un ruolo che non ha.
D'altra parte, l'accoglimento della tesi fatta propria dal TAR Abruzzo avrebbe un effetto paradossale. Infatti, l'affidamento diretto ben può avvenire senza che vi sia alcuna preventiva consultazione di mercato. In questo caso, tale affidamento sarebbe del tutto legittimo, mentre al contrario diverrebbe illegittimo nel momento in cui tale consultazione vi fosse ma l'ente appaltante non la svolgesse applicando le regole di una gara vera e propria. Cosicché una cautela assunta dall'ente appaltante, all'unico fine di avere cognizione delle condizioni di mercato, verrebbe a trasformarsi in un vero e proprio vincolo al rispetto di regole procedurali estranee all'affidamento diretto. In realtà, si deve ritenere che l'affidamento diretto resti tale anche se è preceduto dalla preventiva consultazione di mercato. Conseguentemente, non solo questa consultazione può avvenire senza il rigoroso rispetto delle regole procedurali proprie della gara, ma l'ente appaltante rimane libero di condurre la negoziazione successiva al ricevimento di preventivi/offerte, secondo canoni ispirati alla massima libertà e autonomia, senza vincoli predefiniti. Quanto alla necessità di rispettare i principi generali, gli stessi vanno considerati in una visione d'insieme. Così, accanto a quelli di trasparenza, imparzialità e parità di trattamento vi sono anche quelli di economicità, efficacia e tempestività che – a differenza dei primi – sono quelli che vengono maggiormente in considerazione nell'ambito dell'affidamento diretto.
L'affidamento diretto ha trovato sempre maggiore spazio nell'ordinamento dei contratti pubblici. Il d.l. n. 76/2020 (c.d. decreto semplificazioni), come successivamente modificato dal d.l. n. 77/2021, consente l'affidamento diretto fino al 30 giugno 2023 per i lavori di importo fino 150.000 euro e le forniture e servizi di importo inferiore a 139.000 euro. La norma derogatoria prevede esplicitamente che non sia necessaria la previa consultazione di più operatori economici, richiamando, nel contempo, l'osservanza dei principi generali di cui all'articolo 30 del d..lgs. n. 50/16. Prevede, inoltre, che l'affidamento debba avvenire a favore di soggetti in possesso di pregresse esperienze analoghe. Lo schema del nuovo Codice dei contratti pubblici riproduce sostanzialmente la disciplina introdotta dai due decreti succitati, che, quindi, diverrebbe la disciplina a regime e non solo più transitoria. In mancanza di diverse indicazioni, restano valide le considerazioni sopra compendiate e, quindi, la necessità di preservare i caratteri propri dell'affidamento diretto anche a fronte dell'eventuale svolgimento di una previa consultazione di mercato.
TAR Campania, sez. I, sent. n. 7202/2022: se la piattaforma di gara non funziona la PA deve prorogare i termini per la presentazione delle offerte.
Se si verifica un malfunzionamento nel momento in cui si svolge una gara telematica, tale da rendere impossibile la partecipazione, la stazione appaltante deve sospendere il termine per la ricezione delle offerte per il tempo necessario a superare il malfunzionamento, concedendo anche una proroga “per una durata proporzionale alla gravità del mancato funzionamento”. Lo ha affermato il TAR Campania che ha annullato l'aggiudicazione di una gara indetta da un Comune e svolta attraverso la piattaforma telematica Mepa della Consip.
Il TAR ha censurato il comportamento dell'Ente locale committente, ritenuto in contrasto con i principi contenuti nell'art. 79, co. 5-bis, del Codice Appalti.
La controversia è stata promossa da un concorrente che ha partecipato alla gara ma non è riuscito a perfezionare l'upload dell'offerta a causa di un malfunzionamento del sistema informatico, proprio nei minuti a ridosso della scadenza del termine. Più esattamente, il concorrente ha denunciato l'indisponibilità del sistema tra le 14:45 e le 17:55 a fronte del termine di scadenza fissato alle ore 18:00. Quando - pochi minuti prima delle 18:00 - il sistema ha ripreso a funzionare il concorrente ha caricato il file con le informazioni amministrative ma non ha fatto in tempo a caricare anche quello dell'offerta economica. A nulla è valsa la denuncia all'ente appaltante, con la duplice richiesta di verificare le effettive cause dell'anomalia e di prorogare il termine di scadenza. L'ente locale committente - che pure ha inviato a Consip una richiesta per confermare, o meno, l'avvenuto malfunzionamento - ha deciso di concludere la procedura, aggiudicando infine l'appalto. L'istruttoria condotta da Consip, depositata mesi dopo, ha confermato che il sistema si era effettivamente interrotto e che aveva ripreso a funzionare solo alle 17:57, cioè tre minuti prima della scadenza della gara.
Alla luce di questi elementi fattuali, i giudici del TAR Campania hanno annullato l'aggiudicazione, convenendo che non “può ritenersi che il ripristino del sistema alle ore 17:57 consentisse la partecipazione alla gara, essendo il lasso di tempo di tre minuti insufficiente per l'operatore economico, non potendosi da esso pretendere un comportamento che si mostra inesigibile, in uno spazio temporale così ristretto”. Il fatto, poi, che il Comune abbia chiesto lumi alla Consip senza averne ricevuto una risposta tempestiva, non esime l'ente locale dal fare ulteriori accertamenti. Invero, “Spettava alla stazione appaltante operare le necessarie verifiche (non potendo ritenere sufficiente che la Consip non avesse fornito risposta alla richiesta di chiarimenti), applicando quanto disposto dal citato art. 79, comma 5-bis, qualora la circostanza denunciata fosse risultata veritiera, come accertato in corso di giudizio […] L'esonero della stazione appaltante da responsabilità per il funzionamento della piattaforma fa comunque salvi "i limiti inderogabili di legge" (art. 14 cit.), tra cui quanto espressamente previsto dall'art. 79, co. 5-bis, del d.lgs. n. 50/2016, per cui non può farsi ricadere sull'impresa il rischio connesso a un fattore rientrante nella sfera di disponibilità del gestore del sistema”.
In conclusione: “è illegittimo l'operato della stazione appaltante”, che ora dovrà rieditare il bando.