RUBRICA AGGIORNAMENTO GIURISPRUDENZIALE n. 4/2023
Cons. Stato, sez. V, sent. n. 2084/2023: il principio dell'equo compenso non impedisce alla PA di affidare incarichi professionali a titolo gratuito.
Un ente pubblico può legittimamente affidare un incarico professionale a titolo gratuito, derogando al criterio dell'equo compenso. Infatti, tale criterio opera nel senso di imporre che il compenso sia equo in quanto lo stesso sia previsto, ma non impedisce che tale compenso sia del tutto assente. Allo stesso tempo, ai fini della selezione dell'affidatario l'ente pubblico è comunque tenuto a garantire il rispetto dei principi di imparzialità e buon andamento, adottando criteri di scelta che rispettino i requisiti della certezza, conoscibilità, oggettività e imparzialità.
Così si è espresso il Consiglio di Stato nella sentenza in commento che, però, è bene sottolinearlo, è intervenuta facendo applicazione della previgente normativa sull’equo compenso che, di recente, è stata innovata con la l. n. 49/2023.
Il caso davanti al Giudice amministrativo è il seguente. Uno dei tre professionisti, cui un ente locale aveva rivolto la richiesta di presentare altrettanti preventivi, contestava la legittimità dell'affidamento, proponendo ricorso davanti al giudice amministrativo. Il motivo centrale del ricorso si fondava sulla considerazione che l'ente locale non avrebbe potuto affidare l'incarico basandosi sul solo elemento del prezzo offerto che, peraltro, doveva considerarsi eccessivamente basso e come tale non in linea con il criterio dell'equo compenso. Il TAR Lombardia respingeva il ricorso. In particolare, il giudice di prime cure evidenziava come, nel caso di specie, non potesse trovare spazio il criterio dell'equo compenso. Secondo il giudice amministrativo tale criterio – previsto dall'articolo 3 del decreto-legge 148/2017 – non troverebbe applicazione in tutti i casi in cui la clausola di determinazione del compenso per la prestazione professionale sia stata oggetto di trattativa tra le parti o sia il risultato di una procedura a evidenza pubblica. In queste ipotesi, infatti, non vi è alcuna imposizione della misura del compenso professionale, nel senso che il professionista non è tenuto ad accettare supinamente la decisione dell'ente pubblico, ma può liberamente valutare la convenienza a prestare la sua opera per un compenso che è frutto di una contrattazione tra le parti. Viene quindi meno la ratio dell'istituto dell'equo compenso, che si identifica con la protezione del professionista a fronte di comportamenti potenzialmente vessatori del committente.
Questa situazione è proprio quella che si è verificata nel caso in oggetto. L'ente locale ha, infatti, richiesto a tre professionisti di formulare la loro offerta/preventivo, fornendo gli elementi necessari affinché gli stessi potessero valutare natura e caratteri della prestazione richiesta. Ciascun professionista ha, quindi, predisposto la sua offerta in assoluta libertà e senza essere vincolato da criteri e parametri prestabiliti unilateralmente dall'ente locale, in assenza quindi di ogni possibile condizionamento. La sentenza del TAR Lombardia è stata impugnata davanti al Consiglio di Stato dall'originario ricorrente, che ha contestato alla radice l'iter argomentativo sviluppato nella stessa.
In sede di appello il ricorrente ha sostenuto che il giudice amministrativo di primo grado ha male interpretato la questione posta alla sua attenzione. La questione posta in sede di ricorso non si sostanzia, infatti, nello stabilire se per gli incarichi professionali affidati dalla pubblica amministrazione si debba applicare il criterio dell'equo compenso. Piuttosto, si tratta di decidere se la norma che prevede l'equo compenso – cioè un compenso proporzionato alla quantità e qualità del lavoro svolto – consenta che l'ente pubblico nella selezione del professionista cui affidare l'incarico possa procedere sulla base esclusivamente del prezzo più basso e non con un criterio basato sul rapporto qualità/prezzo. Nel caso di specie, peraltro, l'ente locale non aveva neanche preavvertito i professionisti cui era stata richiesta l'offerta che la scelta sarebbe avvenuta esclusivamente sulla base del prezzo proposto, circostanza da ritenersi contraria ai principi generali di correttezza e buona fede.
Sulla base di questa prospettazione del ricorrente il Consiglio di Stato prende le mosse dalla norma richiamata – articolo 19 quaterdecies, comma 3, decreto-legge 148/2017 – secondo cui la pubblica amministrazione, in attuazione dei principi di trasparenza, buon andamento ed efficacia, garantisce il principio/criterio dell'equo compenso in relazione alle prestazioni oggetto di incarichi professionali. Sulla base di questa norma il ricorrente, fin dal ricorso promosso presso il giudice amministrativo di primo grado, aveva censurato la procedura seguita dall'ente locale per l'affidamento dell'incarico, in quanto fondata esclusivamente sul prezzo più basso e senza alcuna predeterminazione di altri criteri. Infatti, la mancata considerazione di ogni elemento relativo alla qualità della prestazione da rendere sarebbe comunque in contrasto con il criterio dell'equo compenso in quanto nei rapporti con la pubblica amministrazione tale criterio non ha solo lo scopo di tutelare il professionista in quanto contraente debole, ma ancor prima ha la finalità di assicurare l'interesse pubblico ad acquisire prestazioni di qualità.
Il Consiglio di Stato ha accolto questa censura. In via preliminare il giudice di secondo grado ha ritenuto che la norma richiamata non esclude che si possano affidare incarichi professionali derogando al criterio dell'equo compenso. Tale norma, invero, non elimina il potere dispositivo del professionista, che può liberamente rinunciare al compenso – qualunque esso sia, e quindi anche se equo – al fine di perseguire utilità diverse da quelle meramente economiche o addirittura anche senza ricavare alcun tipo di vantaggio. Secondo l'interpretazione del Consiglio di Stato la disciplina sull'equo compenso – che esprime l'attenzione del legislatore verso le libere professioni e quindi vuole tutelare il lavoro prestato al di fuori del rapporto dipendente – vale nella misura in cui un compenso sia effettivamente previsto. Ma non impedisce che la prestazione possa essere resa in forma gratuita.
In altri termini, la normativa sull'equo compenso va interpretata nel senso che se un compenso è previsto, lo stesso deve essere equo; ma non impedisce che il compenso manchi del tutto e la prestazione sia resa a titolo gratuito. Ciò detto in termini generali, il giudice amministrativo puntualizza, poi, che in ogni caso la scelta del professionista cui affidare l'incarico deve essere fondata su criteri predeterminati e preventivamente resi noti agli offerenti. Ciò, in quanto l'attività amministrativa di scelta del contraente deve essere ispirata ai principi di imparzialità e buon andamento, con l'effetto che i criteri di selezione devono rispondere ai requisiti di adeguatezza, conoscibilità, oggettività e imparzialità.
Applicando queste considerazioni al caso di specie, il Consiglio di Stato accoglie il ricorso. Infatti, in primo luogo, la scelta del professionista non è stata operata nel rispetto dei principi di trasparenza e imparzialità; in secondo luogo, si è adottato come criterio esclusivo di scelta quello del prezzo più basso, senza tenere in alcuna considerazione gli aspetti di natura qualitativa, posti a tutela non solo dei professionisti ma anche dello stesso ente pubblico committente.
In chiusura il Consiglio di Stato opera un'importante puntualizzazione in relazione all'orientamento manifestato dal giudice comunitario in merito alla possibilità che per la determinazione del compenso per le prestazioni professionali si possa fare riferimento a tariffe minime. Viene infatti ricordato che la Corte di Giustizia UE non ha escluso in termini assoluti che le singole legislazioni nazionali possano introdurre minimi tariffari, sottolineando il rischio che la corsa al ribasso possa escludere dal mercato i professionisti che offrano prestazioni di qualità. A rafforzamento di questo principio, con specifico riferimento agli incarichi di progettazione, il giudice comunitario ha ritenuto legittima la previsione di una tariffa minima al fine di evitare che, nel contesto di un mercato fortemente concorrenziale, gli operatori siano indotti a offerte al ribasso, a discapito della qualità delle relative prestazioni.
La pronuncia del Consiglio di Stato affronta, inoltre, una questione molto dibattuta in cui si intrecciano diverse esigenze: la salvaguardia dei principi concorrenziali, la tutela della qualità delle prestazioni, l'interesse dei committenti pubblici a poter affidare incarichi anche a titolo gratuito. La complessità della questione emerge anche dai contenuti della pronuncia in commento, in cui vengono contemporaneamente affermati una serie di principi non sempre pienamente coerenti tra loro.
Il Consiglio di Stato ammette, infatti, la gratuità delle prestazioni rese a favore di un committente pubblico. Allo stesso tempo, ribadisce la necessità che la scelta del professionista avvenga secondo criteri oggettivi e che tengano conto anche della qualità della prestazione offerta. Non è chiaro come questi due principi possano facilmente conciliarsi tra loro. Se, infatti, viene prevista la gratuità dell'incarico, la selezione non può che avvenire sulla base di criteri meramente qualitativi o, al contrario, si può ritenere che le regole procedurali possano operare solo se è previsto un compenso, secondo criteri che assicurino la valutazione contestuale del prezzo e degli elementi qualitativi, entrambi contenuti nell'offerta.
In prospettiva si collocano poi le previsioni contenute nuovo Codice dei Contratti Pubblici. L'articolo 8, difatti, stabilisce espressamente che “Le prestazioni d'opera intellettuale non possono essere rese dai professionisti gratuitamente, salvo che in casi eccezionali e previa adeguata motivazione. Salvo i predetti casi eccezionali, la pubblica amministrazione garantisce comunque l'applicazione del principio dell'equo compenso”. Il Legislatore ha ben pensato di non elencare, compiutamente, i “casi eccezionali”.
Allo stesso tempo, viene invece ribadita la possibilità di concludere contratti a titolo gratuito per prestazioni diverse da quelle di natura intellettuale a fronte di un interesse economico dell'affidatario. Quest'ultima prescrizione sembra, quindi, prefigurare una situazione in cui, a fronte del contratto stipulato per lo svolgimento di determinate prestazioni (di natura non intellettuale), l'operatore economico, pur non ricevendo un corrispettivo in denaro, ne ricava comunque un vantaggio misurabile in termini economici. La nuova disciplina sembra quindi non essere in linea con l'interpretazione offerta dal Consiglio di Stato in relazione alla normativa vigente, ponendo un vero e proprio divieto di gratuità delle prestazioni con riferimento agli incarichi professionali.
Infine, la poc’anzi citata norma del nuovo Codice dovrà essere letta ed interpretata in combinato disposto con la nuova normativa sull’equo compenso (l. n. 49/2023), a mente della quale “Ai fini della presente legge, per equo compenso si intende la corresponsione di un compenso proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale (art. 1) … Le disposizioni della presente legge si applicano altresì alle prestazioni rese dai professionisti in favore della pubblica amministrazione e delle società disciplinate dal testo unico in materia di società a partecipazione pubblica (art. 2) … Sono nulle le clausole che non prevedono un compenso equo e proporzionato all'opera prestata, tenendo conto a tale fine anche dei costi sostenuti dal prestatore d'opera; sono tali le pattuizioni di un compenso inferiore agli importi stabiliti dai parametri per la liquidazione dei compensi dei professionisti iscritti agli ordini o ai collegi professionali, fissati con decreto ministeriale … Sono, altresì, nulle le pattuizioni che vietino al professionista di pretendere acconti nel corso della prestazione o che impongano l'anticipazione di spese o che, comunque, attribuiscano al committente vantaggi sproporzionati rispetto alla quantità e alla qualità del lavoro svolto o del servizio reso, nonché le clausole e le pattuizioni, anche se contenute in documenti contrattuali distinti dalla convenzione, dall'incarico o dall'affidamento tra il cliente e il professionista, che consistano: c) nell'attribuzione al cliente della facoltà di pretendere prestazioni aggiuntive che il professionista deve eseguire a titolo gratuito (art. 3) … Il giudice che accerta il carattere non equo del compenso pattuito ai sensi della presente legge ridetermina il compenso dovuto al professionista e condanna il cliente al pagamento della differenza tra l'equo compenso così determinato e quanto già versato al professionista. Il giudice può altresì condannare il cliente al pagamento di un indennizzo in favore del professionista fino al doppio della differenza di cui al primo periodo, fatto salvo il risarcimento dell'eventuale maggiore danno (art. 4)”.
Non resta, dunque, che attendere le future pronunce, adottate nella piena vigenza ed efficacia tanto del nuovo Codice, quanto della recente normativa sull’equo compenso, per poter finalmente sapere se la gratuità delle prestazioni, sempre più frequente negli appalti pubblici, potrà definitivamente considerarsi superata.
Delibera ANAC n. 84/2023: le stazioni appaltanti sono sempre obbligate a chiarire i dubbi sui documenti di gara attivando il soccorso istruttorio procedimentale.
Con la delibera in parola, l'Autorità Nazionale Anticorruzione ha avuto modo di precisare che, in presenza di dubbi sulla documentazione di gara, la stazione appaltante è obbligata ad attivare il soccorso istruttorio procedimentale prima di procedere con l'esclusione.
Con il parere reso dall’ANAC viene in rilievo la distinzione tra soccorso istruttorio integrativo (art. 83, co. 9, del Codice) e il soccorso istruttorio procedimentale (art. 6 della l. n. 241/1990). L'aspetto che maggiormente deve essere messo in risalto è che il soccorso c.d. procedimentale, specificativo sul complesso delle informazioni e atti trasmessi con la partecipazione alla gara, non solo deve ritenersi sempre ammesso, e di doverosa attuazione da parte del RUP, ma che, inoltre, lo stesso trova una sua compiuta disciplina non nel Codice ma nella l. n. 241/1990. Situazione che, comunque, è stata risolta con l’adozione del nuovo Codice che, all'art. 101, disciplina la fattispecie in commento (oltre a quella del soccorso integrativo).
Nel caso di specie, si pone la questione dell'illegittimità di un provvedimento di esclusione adottato per asserita mancanza dei requisiti richiesti dal bando.
Nella documentazione presentata, in realtà, l'operatore ha dichiarato la presenza dei requisiti richiesti, ma questi non risultavano confermati in un documento allegato.
La commissione di gara non ha attivato il soccorso, procedendo direttamente con l'esclusione dell'impresa.
Per l'ANAC, il fatto che il possesso dei requisiti non risultasse confermato dal documento allegato non può legittimare l'esclusione dell'impresa. Se ciò si ritenesse ammissibile, rileva l’Autorità, la conseguenza sarebbe quella di parificare la rilevanza di una dichiarazione (resa a pena di responsabilità in caso di falso) rispetto ad un semplice allegato.
Quest'ultimo documento, infatti, “non avendo alcuna finalità squisitamente tecnica”, non può avere lo stesso valore di una o più dichiarazioni che affermano, inequivocabilmente, il possesso di un requisito richiesto dalla lex specialis. Ciò, avrebbe dovuto essere avallato anche dall'affermazione dell'esistenza di una dichiarazione mendace dell'operatore coinvolto e la stazione appaltante “avrebbe dovuto quantomeno effettuare una segnalazione alla stessa autorità ai sensi dell'art. 80, comma 12 del Codice”. Segnalazione che, però, non è stata inoltrata.
In queste situazioni, se sono vietati interventi manipolativi e/o integrativi dell’offerta, sono, però, consentiti i solleciti al solo fine di acquisire i dovuti chiarimenti sui tratti dell'offerta tecnica, soprattutto per le ipotesi di proposte connotate di particolare complessità.
La stazione appaltante, pertanto, nel caso di incertezza circa la “reale conformità” dell’offerta deve attivare il soccorso procedimentale, secondo l'art. 6, co. 1, lett. b), della l. n. 241/1990, chiedendo al concorrente ulteriori dati tecnici “o comunque di dimostrare l'effettivo possesso di suddette specifiche”.
Come anticipato in premessa, lo schema del nuovo Codice – a differenza di quello attuale - disciplina espressamente il soccorso procedimentale (accanto al soccorso istruttorio integrativo). In questo senso, il co. 3 dell'art. 101 prevede che la stazione appaltante possa “sempre richiedere chiarimenti sui contenuti dell'offerta tecnica e dell'offerta economica e su ogni loro allegato”. Con la precisazione che “L'operatore economico è tenuto a fornire risposta nel termine fissato dalla stazione appaltante, che non può essere inferiore a cinque giorni e superiore a dieci giorni. I chiarimenti resi dall'operatore economico non possono modificare il contenuto dell'offerta tecnica e dell'offerta economica”.
Delibera ANAC n. 6/2023: concorrenti rinviati a giudizio.
Una stazione appaltante può aggiudicare un contratto d'appalto a un operatore economico rinviato a giudizio per i reati di truffa e turbata libertà degli incanti? I requisiti di moralità richiesti dalla legge portano all'esclusione dell'operatore economico dall'appalto o dalla concessione, se la condanna è con sentenza definitiva o decreto penale di condanna divenuto irrevocabile o sentenza di applicazione della pena. Questo vale per una serie di reati - elencati dall'art. 80 del Codice Appalti - che incidono sulla moralità del concorrente. Tuttavia, al di fuori di queste clausole di esclusione tassativa, sempre l'art. 80 del Codice stabilisce che, se si è in presenza di gravi fatti di rilevanza penale conosciuti dalla stazione appaltante, spetta a quest'ultima un margine rilevante di discrezionalità.
È quanto ha sottolineato l’Autorità, nel parere in commento, ricordando che la decisione, nei casi di rinvio a giudizio (dunque, ben prima della condanna definitiva), è rimessa alla stazione appaltante stessa, unico soggetto nelle condizioni di valutare i rischi cui potrebbe essere esposta aggiudicando l'appalto a un concorrente dalla dubbia integrità o affidabilità. Pertanto, al di fuori delle clausole di esclusione tassativa stabilite dal Codice, non è sufficiente un rinvio a giudizio per determinare l'esclusione automatica. Spetta alla stazione appaltante un margine importante di discrezionalità.
Infatti, il co. 5, lettera c), dell’art. 80 del Codice stabilisce che le stazioni appaltanti possono escludere dalla partecipazione alla procedura d'appalto un operatore economico se dimostrano con mezzi adeguati che si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità. In tal caso, un rinvio a giudizio può costituire oggetto di valutazione. L'Autorità ricorda che la rilevanza delle situazioni accertate ai fini dell'esclusione, come indicato nelle Linee Guida n. 6, deve essere valutata nel rispetto del principio di proporzionalità, assicurando che: le determinazioni adottate dalla stazione appaltante perseguano l'obiettivo di assicurare che l'appalto sia affidato a soggetti che offrano garanzia di integrità e affidabilità; l'esclusione sia disposta soltanto quando il comportamento illecito incida in concreto sull'integrità o sull'affidabilità dell'operatore economico in considerazione della specifica attività che lo stesso è chiamato a svolgere in esecuzione del contratto da affidare; l'esclusione sia disposta all'esito di una valutazione che operi un apprezzamento complessivo del candidato in relazione alla specifica prestazione affidata.
L'attivazione del contraddittorio persegue anche lo scopo di consentire all'operatore economico di dar prova di aver risarcito, o di essersi impegnato a farlo, qualunque danno causato dall'illecito e di aver adottato provvedimenti concreti per prevenire ulteriori reati (il c.d. self cleaning). L’ANAC precisa, infine, che la valutazione discrezionale “deve obbligatoriamente essere svolta dalla stazione appaltante: si tratta di esercizio di un potere doveroso”.